Contratti a termine, stagionalità demandata alle Parti Sociali

Someone filling out seasonal work contract agreement.

L’INL con nota n. 413 del 10 Marzo 2021 ha fornito chiarimenti in merito alla disciplina dei contratti a termine nelle ipotesi di stagionalità previste dal C.C.N.L.

Nell’ambito dei lavoro stagionale, normalmente caratterizzato da rapporti a tempo determinato, sono molteplici le deroghe espresse alla generale disciplina legislativa applicabile ai rapporti di lavoro a termine.

In particolare, nell’ambito del Testo Unico dei Contratti, al lavoro stagionale non si applicano:

  • i limiti di durata massima (24 mesi)
  • le causali rinvenibili nelle esigenze estranee all’ordinaria attività o ad incrementi temporanei significativi e non programmabili dell’attività, utili al rinnovo o alla proroga – nelle ipotesi previste – di detti contratti a termine;
  • le regole sulla successione di contratti (c.d. stop and go)
  • la prescrizione del limite massimo di lavoratori a tempo determinato in forza all’azienda.

Nella richiesta di chiarimenti formulata da alcune Organizzazioni sindacali di settore alla Direzione centrale e coordinamento giuridico dell’INL, le predette parti sociali chiedono la conferma circa la circostanza che l’individuazione delle ipotesi di stagionalità sia demandata al CCNL di settore, nonchè la sussistenza delle possibilità di concludere contratti a tempo indeterminato anche per le imprese turistiche che abbiano un periodo di inattività non inferiore a settanta giorni continuativi o centoventi giorni non continuativi ai sensi del DPR 1525/1963.

In ragione delle previsioni di cui all’art. 21, comma 2 del D.Lgs 81/2015, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro rammenta che l’individuazione delle attività stagionali è demandata – attualmente – alle previsioni del predetto DPR ed alle ulteriori ipotesi espressamente stabilite dalla contrattazione collettiva, in conformità con i precedenti interpelli del Ministero in materia.

Pertanto, così come avvenuto in passato, alla contrattazione collettiva è demandata la possibilità, nell’ambito della contrattazione collettiva dotata della maggiore rappresentatività comparata ex art. 51 D.Lgs 81/2015 di individuale ulteriori ipotesi di attività stagionale rispetto a quelle già previste dal DPR 1525/1963, alle quali non si applicano i limiti sui contratti di lavoro subordinato a termine ed in particolare quelli previsti agli artt. 19, comma 2, 21, commi 1 e 2 e 23, comma 2, del predetto Testo Unico.

Altresì, per quanto attiene alla possibilità di stipula di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, l’INL conferma la possibilità per le imprese del settore di sottoscrivere – anche ove si rinvengano periodi di inattività – contratti di lavoro a tempo indeterminato.  Invero, la stipula di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato non pregiudica la natura stagionale dell’impresa, potendo, il datore di lavoro, avere la necessità di svolgere comunque, attività programmatoria o preparatoria nei mesi in cui non è prevista apertura al pubblico.

Si rammenta, infine, che per le attività stagionali individuate dalla contrattazione collettiva, come definito dal messaggio INPS 30 giugno 2015 n. 4441, nessuna deroga opera rispetto al versamento del contributo addizionale per i  rapporti a tempo determinato ed il relativo incremento dello 0,50 per ciascun rinnovo.

Welfare aziendale e raddoppio dell’esenzione per Fringe Benefit

20172_167_Welfare_AziendalCon il Decreto “Agosto” (D.L. 104/2020 art. 112 c.1) il governo ha introdotto per il solo anno 2020  il raddoppio dell’importo di esenzione fiscale dei fringe benefit riferiti a beni e servizi riconosciuti ai lavoratori dipendenti, portandoli da euro 258,23 ad euro 516,46.

Cio’ significa che il valore dei beni ceduti e servizi erogati dalle imprese ai propri dipendenti non concorrerà alla formazione del reddito e sarà quindi esente da imposte e contributi entro il limite di euro 516,46.  In caso di superamento di tale importo, tutta la somma sarà assoggettata a tassazione ordinaria.

Le aziende potranno erogare ad esempio buoni spesa, buoni benzina o altre misure di welfare aziendale, senza che queste vadano ad influire sul reddito dei lavoratori beneficiari.

Fuori dal provvedimento, invece, i buoni pasto che hanno una specifica disciplina di esenzione nei limiti di euro 8 per i ticket elettronici ed euro 4 per i ticket cartacei.

Le altre agevolazioni di welfare aziendale sono legate alle leggi di bilancio 2016 e 2017 che ne hanno allargato il perimetro di utilizzo, mediante servizi educativi, di istruzione e ulteriori benefit sempre erogati dal datore di lavoro per poter fruire di servizi di assistenza destinati a familiari anziani o comunque non autosufficienti.

L’ulteriore allargamento dell’area di tassazione zero per i dipendenti che scelgono di convertire i premi di risultato del settore privato, di ammontare variabile in benefit compresi nell’universo del welfare aziendale è un ulteriore passo avanti nella riduzione del cuneo fiscale.

In alternativa i benefit saranno soggetti a un’imposta sostitutiva dell’irpef e delle addizionali regionali e comunali pari al 10 per cento.

Il tetto massimo di reddito di lavoro dipendente che consente l’accesso alla tassazione agevolata è di 80.000 euro, mentre gli importi dei premi erogabili sono di 3.000 euro nella generalità dei casi e di 4.000 euro per le imprese che coinvolgono pariteticamente i lavoratori nell’organizzazione del lavoro.

NESSUN OBBLIGO DI ISCRIZIONE ALLA GESTIONE COMMERCIANTI PER L’AMMINISTRATORE DI SRL CHE NON PARTECIPA ALL’ATTIVITA’ DI IMPRESA

mobilitaLa Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 21295 del 9 agosto 2019, precisa ulteriormente i confini tra attività gestionale e commerciale ai fini dell’insorgenza del doppio obbligo assicurativo presso la gestione separata e la gestione commercianti.

Stop dunque alla doppia contribuzione Inps nei confronti dell’amministratore unico che riceve esclusivamente compensi dalla società.

Infatti, affinchè scatti anche l’obbligo dell’iscrizione alla gestione previdenziale Inps dei commercianti, oltre a quella della gestione separata Inps di cui all’art. 2, c.26 della legge 335/1995′ è necessario che lo stesso svolga attività materiale ed esecutiva nell’impresa.  Diversamente, se l’amministratore unico riceve soltanto un compenso, limitando il rapporto lavorativo esclusivamente alla gestione dell’attività amministrativa, (per esempio, curare i rapporti con i fornitori e le banche), lo stesso è tenuto a iscriversi soltanto alla gestione separata Inps.

L’art. 1, c.203 della legge662/1996 prevede che l’obbligo di iscrizione alla gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali di cui alla legge 613/1996 e smi, sussista per i soggetti che siano in possesso dei seguenti requisiti:

  • siano titolari o gestori in proprio di imprese che, a prescindere dal numero dei dipendenti, siano organizzate e/o dirette prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti la famiglia, ivi compresi i parenti e gli affini entro il terzo grado, ovvero siano familiari coadiuvatori preposti al punto vendita;
  • abbiano la piena responsabilità dell’impresa e assumano tutti gli oneri ed i rischi relativi alla sua gestione. Tale requisito non è richiesto per i familiari coadiutori preposti al punto vendita, nonchè per i soci di società a responsabilità limitata;
  • partecipino personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza;
  • siano in possesso, ove previsto da leggi o regolamenti, di licenze o autorizzazioni e/o siano iscritti in altri registri o ruoli.

La predetta normativa, come più volte ribadito dalla giurisprudenza non ha introdotto alcun principio di alternatività tra l’iscrizione alla gestione commercianti e l’iscrizione alla gesione separata.  Infatti, sotto il profilo logico-sistematico, la contemporanea iscrizione presso le due gestioni si fonda su titoli diversi: la percezione di redditi di lavoro autonomo, come amministratore della società, e la produzione di redditi di impresa, in qualità di socioche partecipa al lavoro aziendale.

Successivamente, con l’art. 12, c. 11 del  dl. 78/2010, il legislatore ha inteso escludere, relativamente ai rapporti di lavoro per i quali è prevista l’iscrizione alla gestione separata, la regola dell’unicità dell’iscrizione, che resta comunque possibile (presso la gestione dell’attività prevalente) solo per le attività autonome esercitate in forma d’impresa dai commercianti, dagli artigiani e dai coltivatori diretti.

Dunque, alla luce di tale quadro normativo e giurisprudenziale, non opera il principio dell’unificazione della contribuzione sulla base del parametro dell’attività prevalente, ma vale il principio della doppia iscrizione.

Ne consegue che, il socio di una società a responsabilità limitata che svolge per la società stessa attività di lavoro auronomo, quale collaboratore e continativo, è soggetto a doppia comntribuzione, presso la gestione separata per i compensi di lavoro autonomo e presso la gestione commercianti per il reddito d’impresa.

Congedo a sostegno della genitorialità

congedo neopapaCinque giorni di congedo per i neopapà.  La legge di Bilancio 2019 (legge n. 145/2018) ha in parte modificato la misura a sostegno della genitorialità.

Dal 1° gennaio 2019, i papà dipendenti potranno usufruire di 5 giorni di astensione dal lavoro nei primi cinque mesi dalla nascita di un figlio (due giorni erano fino al 31 dicembre 2017, e quattro giorni nel 2018).

Il congedo è obbligatorio, costituisce, cioè, un “obbligo” di astensione dal lavoro per cinque giorni consecutivi o in più tappe a scelta del lavoratore, necessariamente nei primi cinque mesi di vita del figlio.

La fruizione va fatta sempre per giornate intere di lavoro, una o più di una (anche tutte e cinqque insieme), perchè per  espressa previsione di legge non è possibile il frazionamento a ore.  La fruizione, inoltre, può avvenire anche mentre il coniuge (ossia la madre del neonato) sta fruendo del congedo di maternità.

Quest’ultimo congedo, riconosce alla madre lavoratrice dipendente l’obbligo di astenersi dal lavoro per un totale di cinque mesi da sudividere prima e dopo la nascita.

Ordinariamente la ripartizione è due mesi prima della data presunta del parto e tre mesi dopo la nascita; ma la lavoratrice può decidere di posticipare a dopo il parto tutto il periodo di astensione obbligatoria prima della data presunta del parto (cioè i due mesi), al fine di allungare (di conseguenza) quello post partum che così può arrivare fino a cinque mesi ( è la c.d. “flessibilità” del congedo di maternità, anch’essa oggetto di modifiche da parte della legge di bilancio 2019)

Ovviamente, poichè la legge impone al papà di fruire del congedo obbligatorio “nei primi cinque mesi di vita del figlio”, l’astensione in contemporanea al congedo di maternità del coniuge può avvenire soltanto nel periodo post partum.

Durante le assenze per congedo obbligatorio, il padre è retribuito e coperto da contributi.

In particolare, il papà ha diritto a percepire, per i cinque giorni di astensione, un’indennità giornaliera a carico dell’Inps pari al 100% della retribuzione e sempre a carico dell’Inps c’è pure la contribuzione (figurativa).  L’indennità è corrisposta al lavoratore dal datore di lavoro, il quale la recupera mediante conguaglio con i contributi che deve versare mensilmente all’Inps.

Il papà che intende fruire del congedo obbligatorio deve darne comunicazione in forma scritta al proprio datore di lavoro, specificando il giorno o i giorni in cui vorrebbe assentarsi.  La comunicazione va fatta con un anticipo non inferiore a 15 giorni, ove possibile in relazione all’evento nascita, sulla base della data presunta del parto.

Lavoro nero punito due volte

e7587f9548de6248ddaa75dfe260d9La maxi sanzione per lavoro nero si cumula con la nuova sanzione per pagamento in contanti delle retribuzioni.  In sede di accertamento dell’impiego di lavoro in nero, infatti, l’ispettore deve riscontrare che la remunerazione dei lavoratori sia avvenuta con mezzi tracciabili e, in caso contrario, applicare la sanzione da 1.000 a 5.000 euro sulla base della periodicità di corresponsione della retribuzione (mensile – settimanale – giornaliera).  Lo precisa l’Ispettorato Nazionale del Lavoro con nota prot. n. 9294/2018.

I chiarimenti riguardano la tracciabilità dele paghe, obbligatoria dal 1° luglio 2018, nell’ipotesi di svolgimento di lavoro in nero.

La tracciabilità vincola datori di lavoro e committenti a pagare paghe e compensi e ogni relativo acconto, a lavoratori e collaboratori, solo attraverso una banca o un ufficio postale o utilizzando mezzi di pagamento tracciabili, pena l’applicazione della sanzione da 1.000 a 5.000 euro.  Nel caso di occupazione di lavoratori in nero, inoltre, è prevista la c.d. maxi sanzione, graduata “per fasce” in relazione alla durata dell’illecito: da 1.500 a 9.000 euro per lavoratore in caso d’impiego fino a 30 giorni; da 3.000 a 18.000 euro per lavoratore in caso d’impiego da 31 a 60 giorni; da 6.000 a 36.000 euro per lavoratore in caso di impiego oltre 60 giorni (gli importi aumentano del 20% in caso d’impiego di stranieri senza permesso di soggiorno o di minori di età non lavorativa).

A proposito delle due sanzioni è stato chiesto al ministero di precisare se sono cumulabili e il criterio di applicazione di quella per la violazione dell’obbligo di tracciabilità delle paghe.

In primo luogo, l’Ispettorato ricorda che la violazione della tracciabilità è verificata ogniqualvolta è “corrisposta la retribuzione o il compenso, in violazione del comma 910 dell’art. 1 della legge n. 205/2017, secondo la periodicità di erogazione” che, di norma, avviene mensilmente.  Quindi, precisa che c’è il cumulo poichè la norma non lo esclude (cosa che, per la maxi-sanzione, il legislatore ha fatto espressamente in altri casi).  Pertanto, nei casi in cui l’Ispettore abbia accertato l’impiego di lavoratori in nero e riscontrato, altresì, che la remunerazione degli stessi sia avvenuta non mediante strumenti di pagamento tracciabili ma in contanti, andranno applicate entrambe le sanzioni.

L’illecito, spiega l’Ispettorato, si configura soltanto qualora sia accertata l’effettiva erogazione della retribuzione in contanti in base alla periodicità della paga.  Poichè nei casi di lavoro nero tale periodicità dell’erogazione della retribuzione può non seguire l’ordinaria corresponsione mensile, nelle ipotesi di accertata corresponsione giornaliera della retribuzione, precisa ancora l’InL, si configurano tanti illeciti quante sono le giornate di lavoro in nero effettuate.

In questi casi, precisa l’Ispettorato, resta ferma l’adozione della diffida accertativa per l’ipotesi in cui, una volta accertata la corresponsione della retribuzione, anche se avvenuta in contanti, la stessa risulti d’importo inferiore a quanto dovuto in ragione del CCNL applicato dal datore di lavoro.

Compenso amministratori: gestione previdenziale e tassazione

Il compenso spettante agli amministratori delle società (Srl, Spa, Sas ecc.) è deducibile dal reddito solo se deliberato dall’assemblea dei soci o se previsto nello statuto. La disciplina varia a seconda delle modalità con il quale si determina il compenso e dal rapporto dell’amministratore con la società, che può essere di tipo professionale o di tipo dipendente. Al compenso previsto, possono aggiungersi anche rimborsi spese per le trasferte.
La disciplina dei compensi amministratori si rinviene in: Cassazione n. 1647/1997, n. 2895/1991; Tribunale di Milano n. 14848/2010; Art. 12, comma 11 del D.L. n. 78/2010; Legge 335/1995.

I contributi Inps rappresentano le quote della retribuzione (in caso di lavoro subordinato) o del reddito di lavoro (in caso di lavoro autonomo) destinate al finanziamento delle prestazioni previdenziali ed assistenziali previste per legge.

I soggetti che esercitano contemporaneamente un’attività da cui percepiscono redditi assoggettabili alla gestione separata e altra attività imprenditoriale con obbligo di iscrizione alla gestione commercianti o artigiani) sono tenuti a imposizione contributiva nell’ambito di entrambe le gestioni.

Questa disciplina si rende applicabile anche ai soci amministratori di società responsabilità limitata che prestano la loro attività prevalente all’interno dell’impresa e percepiscono un compenso per la loro attività.

Il compenso degli amministratori può essere stabilito attraverso le seguenti modalità:

  • in misura fissa
  • in misura variabile
  • con erogazione differita

La determinazione del compenso annuo è sempre riferibile ad una durata in carica di 12 mesi, pertanto in caso di minore permanenza della carica, il compenso dovrà essere liquidato in funzione del tempo.

I compensi corrisposti agli amministratori, per un importo proporzionato all’opera svolta, sono deducibili dal reddito societario quando:

  • sono deliberati dall’assemblea
  • sono previsti dallo statuto

L’attività svolta dall’amministratore per la società si presume svolta a titolo oneroso, tuttavia la prestazione dell’amministratore può anche essere svolta a titolo gratuito.

La gratuità della prestazione dell’amministratore deve essere prevista nello statuto o comunque deve risultare da un’apposita delibera dell’assemblea confermata a sua volta dall’amministratore.

Quindi se l’amministratore svolge la sua attività a titolo gratuito è consigliabile che l’assemblea dei soci o il C.d.a. deliberi su tale gratuità con accettazione dell’amministratore.  L’accettazione da parte dell’amministratore dell’assenza di remunerazione serve ad evitare future contestazioni, e cioè che il beneficiario (quindi l’amministratore) stesso possa prima o poi reclamare un compenso per l’opera svolta.

La rinuncia deve essere espressa e quindi non tacita ed inoltre tale rinuncia al compenso ha rilevanza ai fini contributivi e previdenziali, infatti in caso di prestazioni rese dall’amministratore a titolo gratuito non opera nessun obbligo contributivo.

L’amministratore di società che dichiara di non percepire alcun compenso per lo svolgimento del proprio incarico presso la società può essere soggetto ad accertamento induttivo da parte dell’Agenzia delle Entrate, in quanto si presuppone che il mandato sia sempre a titolo oneroso.

La qualifica di amministratore rende obbligatoria l’iscrizione alla gestione separata Inps e al pagamento dei relativi contributivi previsti dalla Legge 35/1995.

Gli amministratori in persona, o la società devono presentare domanda di iscrizione alla sede Inps territorialmente competente, all’atto della nomina dell’amministratore o comunque entro la data di attribuzione dell’eventuale compenso, indicando i dati anagrafici, codice fiscale, domicilio dell’amministratore, nonchè i dati identificativi della società committente.

Seil soggetto detiene la qualifica di amministratore di più società in sedi diverse, deve spedire una sola domanda di iscrizione nella sede in cui ha la residenza o dove ha sede una società, elencando tutte le società nelle quali è amministratore.

In caso di cessazione dellincarico di anninistratore, lo stesso o lo società devono comunicare all’Inps la cessazione dell’incarico entro 30 giorni.  In caso di cessazione, i contributi vanno ugualmente pagati anche sull’indennità di fine mandato.

Il diritto alla pensionedi invalidità o di vecchiaia sorge dopo un minimo di 5 anni di pagamento dei contributi alla gestione separata Inps; si ricorda che la pensione è calcolata con metodo contributivo.

In alcuni casi gli amministratori di società godono di tetela assicurativa Inail.

Il D.lgs 38/2000 stabilisce che gli amministratori di società sono obbligatoriamente soggetti alla tutela assicurativa Inail quando svolgono attività previste dall’art. 1 del DPR 1124/65 e cioè:

  • uso di veicoli a motore personalmente condotti;
  • accesso in cantieri, opifici o simili;
  • uso di macchine da ufficio, non in via occasionale e per l’esercizio delle proprie mansioni.

Qualora sussista l’obbligo contributivi Inail, la società deve iscrivere o, eventualmente in caso di cessazione, cancellare l’amministratore entro 30 giorni dalla nomina o cessazione.

Il premio dovuto va calcolato sull’ammontare dei compensi percepiti nell’anno, considerati i minimali e massimali di legge previsti per il calcolo delle rendite assicurative.  Il pagamento non è completamente a carico della società, bensì spetta per i 2/3 alla società e per 1/3 all’amministratore.

Il trattamento di fine mandato degli amministratori, anche detto TFM, è un’indennità che l’impresa corrisponde agli amministratori alla scadenza del mandato.

Il TFM segue le regole di determinazione del compenso, cioè deve essere preventivamente stabilito e determinato all’atto costitutivo della società o dall’assemblea dei soci.  Qualora manchino previsioni fiscali o civilistiche, il trattamento di fine mandato si determina con riguardo alla capacità reddituale, o al volume d’affari o alla realtà operativa economica.

L’indennità può essere stabilita alternativamente seguendo tre strade diverse:

  • in misura fissa
  • percentuale sul compenso annuo
  • proporzionalmente ad alcune grandezze del bilancio

Se l’amministratore svolge un’attività nell’ambito di arti o professioni, non può vedersi riconosciuto il Trattamento di Fine Mandato.

Le clausole del contratto di lavoro

contratto-lavoroAi sensi dell’art. 2099 del codice civile, il contratto individuale di lavoro è quel contratto mediante il quale il lavoratore si obbliga a prestare la propria attività lavorativa alle dipendenze e sotto la direzione e la vigilanza dela datore di lavoro, in cambio di una controprestazione detta retribuzione.

Riferimenti normativi:

  • codice civile, artt. 2096 – 2104 – 2105
  • art. 96 disp. att. codice civile
  • D.Lgs 24 maggio 1997 n. 152
  •  legge 15 luglio 1966 n. 604, art. 10

Ai fini della validità del contratto è necessario che siano presenti i seguenti elementi essenziali:

  • il consenso delle parti
  • la causa
  • l’oggetto
  • la forma

Il datore di lavoro e il lavoratore, nel momento in cui stipulano il contratto di lavoro, sono chiamati a determinare l’oggetto del contratto che, ai sensi dell’art. 1346 del codice civile, dev’essere:

  • possibile
  • lecito
  • determinato
  • determinabile

Nel dettaglio dell’oggetto, occorre individuare la prestazione di lavoro che andrà a svolgere il lavoratore, intellettuale o manuale che sia e la relativa retribuzione che il datore di lavoro si impegna a corrispondere, quale controprestazione.  La retribuzione è, di norma, indicata nel contratto.  Laddove le parti omettano di inserirla, potrà essere determinata dal Giudice.

Il contratto di lavoro può essere:

  • a tempo indeterminato
  • a tempo determinato

Per disposizione degli artt. 2104 e 2105 del codice civile:

il lavoratore, nello svolgimento del rapporto lavorativo è tenuto ad usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, ad osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro, impartite dall’imprenditore e dai collaboratori, dai quali gerarchicamente dipende e osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dal datore di lavoro.  Il lavoratore è altresì tenuto all’obbligo di fedeltà, nel concreto, non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi che siano in concorrenza con il datore di lavoro, e non può divulgare notizie attinenti l’organizzazione dell’azienda al fine di recarne pregiudizio.

Dal momento che il contratto di lavoro si formalizza attraverso il consenso delle parti è necessario che entrambi i contraenti abbiano la capacità di concludere un contratto di lavoro.  Affinchè l’accordo sia ritenuto valido, è espressamente richiesto la manifestazione della volontà a concludere il contratto e che la stessa non sia viziata da errore, da violenza o dolo.  In genere, o secondi necessità, il datore di lavoro, prima di stipulare il contratto, sottoscrive una c.d. “lettera di impegno” che consegna al lavoratore.

Nel caso in cui tale impegno non venisse rispettato, il lavoratore può ricorrere in giudizio, al fine di ottenere una sentenza che produca tutti gli effetti di un contratto, oltre al relativo risarcimento del danno.

 

COLLABORATORI DOMESTICI – la disciplina

166166082_fdb19c3000_oLa definizione civilistica di collaboratore domestico è regolata dalle disposizioni del codice civile, dall’art. 2240 all’art. 2249 e, se più favorevoli al prestatore di lavoro, dalla convenzione e dagli usi.

In aiuto viene poi la legge 2 aprile 1958 n. 339 ancora in vigore, la quale, all’art. 1° precisa che s debbono intendere per addetti ai servizi personali domestici, i lavoratori di ambo i sessi che prestano a qualsiasi titolo la loro opera per il funzionamento della vita familiare, sia che si tratti di personale con qualifica specifica, sia che si tratti di personale adibito a mansioni generiche.

Rientrano quindi nella definizione di domestico, o più modernamente definito, di collaboratore familiare, tutti quei lavoratori che svolgono le loro mansioni alle dipendenze del datore di lavoro esclusivamente per il funzionamento della vita familiare nel suo complesso o per i bisogni personali di uno o più componenti del nucleo.

Tale disciplina è estendibile anche al caso di addetti alle comunità religiose, sociali o militari di tipo familiare, comunque prive di fini di lucro, politico, culturale, sportivo o di svago.  Per esclusione quindi è bene avere presente che se la prestazione lavorativa viene rivolta verso finalità diverse dal funzionamento familiare, ad esempio per servizi di pulizie nei locali di una azienda o dello studio professionale, o anche presso circoli, la stessa dovrà rientrare nell’ambito del lavoro dipendente non domestico.

In tal senso pertanto, quando la prestazione viene promiscuamente resa sia presso casa o presso la famiglia del datore di lavoro e contestualmente presso lo studio o l’azienda, dello stesso, si dovrà procedere con l’instaurazione di due distinti rapporti di lavoro.

Al collaboratore familiare, in quanto lavoratore subordinato, viene riconosciuta una retribuzione in denaro o in natura, ed il versamento copertura contributiva ed assicurativa; nel caso in cui però, tra il datore di lavoro ed il lavoratore sussista un vincolo di parentela, affinità o convivenza more uxorio, la prestazione lavorativa si presume resa gratuitamente, salvo che il datore di lavoro non sia in grado di dimostrare l’esistenza dei requisiti tipici della subordinazione.

Al di fuori dei vincoli coniugali, di parentela o di affinità, eventuali legami affettivi tra datore di lavoro e lavoratore, non possono essere presi in considerazione per adire al principio di presunzione di gratuitò della prestazione lavorativa tra le parti.

Ai fini fiscali nessun obbligo è previsto in capo al datore di lavoro domestico, in quanto si tratta di soggetto non sostituto d’imposta;  il datore di lavoro trattiene dalla retribuzione del collaboratore familiare unicamente la quota di contribuzione a carico del lavoratore e procede al versamento trimestrale insieme alla quota di propria pertinenza.  E’ però tenuto a rilasciare annualmente al collaboratore familiare una dichiarazione a titolo di certificazione delle retribuzioni pagate in corso d’anno, con specifica anche degli importi trattenuti a titolo di contribuzione per l’assicurazione generale obbligatoria e le eventuali somme pagate a titolo di trattamento di fine rapporto o anticipazioni dello stesso.  La certificazione delle retribuzioni così predisposta dovrà essere utilizzata dal collaboratore familiare per procedere alla propria dichiarazione dei redditi.

Per l’instaurazione del rapporto di lavoro domestico si procede alla compilazione di un format per il tramite della piattaforma telematica dell’INPS, sul quale si riporteranno, oltre ai dati identificativi delle parti, anche il tipo di rapporto (domestico o badante), l’orario di lavoro osservato, con precisazione se la prestazione deve intendersi a tempo determinato o indeterminato e se vige vincolo di convivenza.    In funzione dei dati forniti, l’Istituto provvede ad emettere i bollettini per il pagamento trimestrale della contribuzione dovuta.

Comunicazione lavoratori somministrati

somministrazione lavoro_int   I datori di lavoro che nel corso dell’anno precedente hanno fatto ricorso a contratti di somministrazione (ex lavoro interinale), devono comunicare alle rappresentanze sindacali unitarie o aziendali (Rsu o Rsa) il numero e i motivi della stipulazione dei contratti, la durata, il numero e la qualifica dei lavoratori somministrati.

La comunicazione può essere consegnata a mano, con raccomandata a/r oppure per posta elettronica certificata (Pec).

Di norma sono le agenzie di somministrazione che si attivano e assistono i datori di lavoro nell’adempimento; in mancanza, è bene non dimenticare l’obbligo perchè costa la sanzione d’importo variabile da 250 a 1.250 euro.

La scadenza riguarda un adempimento annuale a carico delle imprese che fanno ricorso alla somministrazione di lavoro, al fine del monitoraggio continuo del lavoro tramite agenzia.  Originariamente introdotto dall’art. 24 del Dlgs n. 276/2003 l’adempimento è stato confermato dalla riforma Jobs act (art. 36 comma 3 Dlgs 81/2015) e consiste di una comunicazione da inviare alle rappresentanze sindacali unitarie ovvero a quelle aziendali o, in mancanza di Rsa e Rsu, alle associazioni territoriali di categoria aderenti alle confederazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

La comunicazione è annuale, nel senso che l’impresa utilizzatrice di soggetti lavoratori in somministrazione deve effettuarla “ogni dodici mesi”.

L’obbligo della comunicazione ricade soltanto sul soggetto utilizzatore, ossia sull’impresa che ha preso lavoratori in somministrazione; tuttavia, può essere effettuata direttamente dal datore di lavoro utilizzatore oppure anche attraverso l’associazione datoriale alla quale questi aderisce o abbia conferito mandato. In nessun caso, invece, possono essere chiamati in aiuto gli altri intermediari abilitati allo svolgimento degli adempimenti in materia di lavoro, ossia i consulenti del lavoro e gli altri professionisit.

Per il mancato o irregolare adempimento, il Jobs act ha confermato la disciplina già operativa precedentemente, ossia l’applicazione della sanzione amministrativa da euro 250 a 1.250.  Si tenga conto che la responsabilità per l’adempimento dell’obbligo di comunicazione attiene al solo soggetto utilizzatore.

fac simile della comunicazione annuale

intestazione dell’azienda utilizzatrice

                                                                                                            Spettabile RSU o RSA

                                                                                                                                                ovvero

                                                                                                            Spettabili OO.SS. territoriali di categoria

                                                                                                                luogo, data………………………..

Oggetto: comunicazione annuale lavoratori somministrati

(ai sensi dell’art, 36, comma 3 Dlgs 81/2015)

 

Con la presente, la scrivente azienda ………………………………………………………….., in ottemperanza a quanto disposto dall’art. 36, comma 3, del Dlgs n. 81/2015. comunica che, nell’anno……… ha fatto ricorso ai seguenti contratti di somministrazione di lavoro:

numero dei contratti di                           durata mese/           numero lavoratori                qualifiche

somministrazione conclusi                        giorni                            utilizzati                            utilizzate

 

Tanto era dovuto.

Con l’occasione porge cordiali saluti.

 

Pause, soste e tempi di viaggio

untitled (3)La disciplina vigente in materia di orario di lavoro, prevede che il lavoratore abbia diritto ad un periodo di pausa giornaliero, finalizzato al recupero delle energie psico-fisiche e della eventuale consumazione del pasto, utile anche per spezzare eventuali ritmi di lavoro monotoni e ripetitivi.

Tale diritto matura unicamente nel caso in cui l’orario di lavoro giornaliero ecceda il limite di 6 ore.

Le modalità di fruizione e la durata della pausa sono stabilite dai contratti collettivi di lavoro.  In mancanza di una esplicita previsione contrattuale, la legge prevede cha al lavoratore deve essere concessa una pausa giornaliera di durata non inferiore a 10 minuti, da godere anche rimanendo sul posto di lavoro.

Il periodo di pausa non può essere sostituito dalla erogazione della corrispondente retribuzione.

Il Ministero del Lavoro ha stabilitp che l’eventuale collocazione della pausa all’inizio o alla fine della giornata lavorativa, che si sostanzia in una sorta di riduzione dell’orario di lavoro, è lecita soltanto a fronte della concessione di lavoratori di equivalenti periodi di riposo conpensativo.

La collocazione oraria della pausa viene determinata dal datore di lavoro, in base alle esigenze tecniche dell’attività lavorativa.  Nell’ipotesi in cui l’0rganizzazione del lavoro preveda la giornata c.d. spezzata, la pausa potrà coincidere con il momento di sospensione dell’attività lavorativa.

I lavoratori che utilizzano abitualmente un’attrezzatura munita di videoterminali, per almeno 20 ore settimanali, hanno diritto ad una pausa giornaliera secondo quanto determinato dalla contrattazione collettiva, ma comunque pari ad almeno 15 minuti ogni 120 minuti di applicazione continuativa al videoterminale.  Per questa categoria di lavoratori non è consentito il cumulo all’inizio ed al termine della giornata lavorativa e il tempo di pausa è considerato orario di lavoro.

Il legislatore esclude dal computo dell’orario di lavoro il tempo impiegato dal lavoratore per raggiungere il posto di lavoro.  Tuttavia, nei casi in cui il viaggio sia funzionale rispetto alla prestazione da svolgere, esso va considerato tempo di lavoro:  ciò accade quando il dipendente è obbligato a presentarsi presso la sede aziendale, ad esempio per ritirare il mezzo di trasporto o le attrezzature dedicate, per poi essere inviato a svolgere l’effettiva prestazione in diverse località.

La disciplina dei riposi intermedi non si applica:

  • ai dirigenti, al personale con funzioni direttive o avente un autonomo potere decisionale
  • alla manodopera familiare
  • ai telelavoratori e quelli a domicilio
  • ai lavoratori mobili

Nel caso di bambini e adolescenti, il limite orario superato il quale la fruizione della pausa intermedia diviene obbligatoria è ridotto a 4 ore e mezza.  La durata minima della pausa, inoltre, deve essere di un’ora.  I contratti collettivi, previa autorizzazione delle Direzioni territoriali del lavoro, possono dimezzare tale durata, sempre che non si tratti di lavori insalubri o pericolosi.

Il lavoratore domestico ha diritto ad un conveniente periodo di riposo duranteil giorno e a non meno di 8 ore consecutive di riposo notturno.  In particolare, il contratto collettivo stabilisce che il lavoratore convivente ha diritto ad un riposo di almeno 11 ore consecutive nell’arco della stessa giornata e, qualora il suo orario giornaliero non sia interamente collocato tra le ore 6,00 e le ore 14,00 oppure tra le ore 14,00 e le ore 22,00 ad un riposo intermedio non retribuito, normalmente nelle ore pomeridiane, non inferiore alle 2 ore giornaliere di effettivo riposo.

L’orario di lavoro del personale addetto alle operazioni di trasporto merci o persone, deve essere interrotto da riposi intermedi della durata di:

  • 30 minuti, se il totale delle ore di lavoro è compreso tra le 6 e le 9 ore
  • 45 minuti se superiore a 9 ore

Restano escluse dalla nozione di lavoro effettivo le soste di lavoro di durata non inferiore a 10 minuti e complessivamente non superiori a 2 ore, comprese tra l’inizio e la fine di ogni periodo della giornata di lavoro, durante le quali sia richiesta alcuna prestazione all’operaio o all’impiegato.  Tuttavia sono considerate nel computo del lavoro effettivo le soste, anche se di durata siperiore a 15 minuti, che sono concesse all’operaio nei lavori molto faticosi allo scopo di riletterlo in condizioni fisiche di riprendere il lavoro.

Mentre le soste si configurano come “pause interne” della prestazione, non rigidamente predeterminabili, strettamente connesse con le esigenze del processo produttivo, i riposi intermedi, invece, sono dei momenti di inattività compresi tra due intervalli o “turni” di lavoro contrattualmente predefiniti.  I riposi intermedi, per definizione, sono computabili nell’orario di lavoro e, pertanto, non retribuibili, mentre, il regime patrimoniale delle soste varia a seconda, delle proprie caratteristiche intrinseche.

E’ questa la ragione per cui, la pausa pranzo viene considerata:

  • fuori dall’orario di lavoro per gli impiegati
  • interna al periodo di lavoro giornaliero, e dunque retribuita, nei lavori a turno con ciclo continuo.

Per quanto riguarda le soste, possono essere retribuite:

  1. le soste inferiori a 10 minuti, legate ad una causa di forza maggiore, ad esigenze fisiologiche del lavoratore o semplicemente di alleggerimento de carico di lavoro, poichè strettamente funzionali alla ripresa dell’attività lavorativa
  2. soste legate alla tutela psico-fisica dei lavoratori, sulla base di disposizioni normative o di quanto previsto nel documento di valutazione dei rischi, quale misura di prevenzione contro gli eventi infortunistici
  3. le soste per causa di forza maggiore o per cause non imputabili al lavoratore che nel loro complesso non superino i 30 minuti nella giornata o in ogni caso qualora l’impresa trattenga l’operaio in cantiere.