Lavoratori in mobilita’ – agevolazioni in dirittura d’arrivo

mobilitaLe agevolazioni per le assunzioni dei lavoratori in mobilità hanno avuto un posto di rilievo nel panorama dei benefici incentivanti legati alla stipula di nuovi contratti di lavoro; previsti dagli artt. 8 e 25 della legge n. 223/91, hanno accompagnato per lunghi anni la ricollocazione dei lavoratori espulsi dai processi produttivi, con incentivi, talora abbastanza corposi, che sono andati, progressivamente riducendosi per effetto dell’art. 2 della legge n. 92/2012 che, peraltro, ha decretato la fine delle liste di mobilità con effetto dal 1° gennaio 2017.

L’art. 25, comma 9, della legge 223/91, prevede che l’assunzione a tempo determinato o indeterminato di un lavoratore iscritto nelle liste di mobilità venga incentivata sotto una duplice forma: quella contributiva e quella economica.

Altra possibilità di assunzione con contratto a tempo indeterminato è quella prevista dall’art. 47, comma 4, del D.Lvo n. 81/2015, il quale recita testualmente: ai fini della loro qualificazione o riqualificazione è possibile assumere in contratto di apprendistato professionalizzante, senza limiti di età i lavoratori beneficiari di indennità di mobilità o di un trattamento di disoccupazione. Per essi trovano applicazione, in deroga alle applicazioni di cui all’art. 42, comma 4, le disposizioni in materia di licenziamenti individuali, nonchè, per i lavoratori beneficiari di indennità di mobilità, il regime contributivo agevolato di cui all’art. 25, comma 9 della legge 223/91 e l’incentivo di cui all’art. 8, comma 4 della medesima legge.  Si tratta del contratto di apprendistato per la qualificazione o la riqualificazione dei lavoratori in mobilità e che, rispetto all’incentivo contributivo, è perfettamente allineato a quello degli altri lavoratori in mobilità (10% per la quota a carico dei datori di lavoro).

In applicazione di tale previsione normativa, l’eventuale assunzione di un lavoratore iscritto nelle liste di mobilità, con contratto di apprendistato (che è un contratto di lavoro a tempo indeterminato) lo stesso potrebbe essere retribuito applicando fino a due livelli in meno o, in alternativa, in percentuale, rispetto al lavoratore qualificato.

L’assunzione a tempo determinato o indeterminato (anche part/time) di un lavoratore in mobilità comporta un abbattimento della quota contributiva a carico del datore di lavoro per dodici o diciotto mesi.

Il godimento di tale agevolazione, così come di tutte le altre è strettamente correlato sia al possesso del DURC regolare,  che dell’assenza di gravi violazioni in materia di igiene e sicurezza sul lavoro, che al rispetto dei trattamenti economici e normativi previsti dalla contrattazione collettiva, anche territoriale o aziendale, applicabile.

Con circolare 137 del 2012, l’INPS ha fornito alcune precisazioni in merito (precisazioni che si ritiene siano ancora valide)

  • gli incentivi sono riconosciuti alle assunzioni, trasformazioni o proroghe effettuate fino al 31.12.2016. Non interessa se il lavoratore rimane iscritto alle liste anche per il 2017 o percepisce l’indennità di mobilità anche oltre il 13.12.2016.
  • alle assunzioni, proroghe e trasformazioni che dovessero intervenire entro il 31.12.2016 spetterà l’incentivo per la durata prevista dalle disposizioni abrogate, anche se l’incentivo dovesse scadere successivamente alla suddetta data.

Buoni lavoro (voucher): nuove modalità di utilizzo

voucher-buoni-lavoro-accessorioDopo le recenti modifiche introdotte dal Jobs Act e quelle relative alla nuova procedura telematica, sono pronte con un nuovo decreto legislativo del Governo e del Ministero del Lavoro ulteriori correzioni volte a contrastare l’uso distorto di tale importante strumento.  Ecco le novità previste in arrivo con la nuova normativa relativa ai buoni lavoro  – voucher Inps per lavoro occasionale accessorio con effetto a far data dal 18 ottobre 2016

Prima di introdurre le modifiche previste, riepiloghiamo il concetto di buoni lavoro –  voucher Inps e lavoro occasionale accessorio.

Il lavoro occasionale accessorio è una particolare modalità di prestazione lavorativa, la cui finalità è quella di regolamentare quelle prestazioni lavorative, definite appunto “accessorie” che non sono riconducibili a rapporti di lavoro nè subordinato nè autonomo, in quanto svolte in modo saltuario.  Tra i vantaggi del lavoro occasionale accessorio c’è sicuramente quello del versamento dei contributi a favore del prestatore d’opera.

La caratteristica principale del lavoro occasionale accessorio è rappresentata dal meccanismo del pagamento, che prevede la consegna ai lavoratori di buoni lavoro Inps (c.d. voucher), aventi un valore nominale (attualmente pari a 10 euro lordi all’ora), i quali possono essere successivamente riscossi, al termine della prestazione presso gli uffici postali, bancari, o presso i rivenditori di tabacchi autorizzati.

La nuova normativa in materia di lavoro occasionale accessorio, prevista dal decreto correttivo al Jobs act approvato in via definitiva dal Consiglio dei Ministri del 23.9.2016, ha come principale obiettivo quello della tracciabilità, della trasparenza e del contrasto agli abusi connessi all’utilizzo distorto di tale forma di prestazione.

Altro obiettivo previsto è quello della salvaguardia del corretto utilizzo dei buoni lavoro, con finalità di emersione del “lavoro nero”.

Le nuove disposizioni prevedono l’introduzione della nuova comunicazione preventiva, da inviare all’Ispettorato nazionale del lavoro, con modalità via sms o posta elettronica,  almeno 60 minuti prima dell’inizio della prestazione. Dunque non sarà possibile procedere alla comunicazione a ridosso dell’inizio dell’impiego del lavoratore. Inoltre, non sarà possibile fare riferimento ad un arco temporale non superiore ai trenta giorni successivi, all’interno del quale collocare la prestazione e dunque l’occupazione con voucher.

Sostanzialmente, occorrerà indicare quando la prestazione sarà resa al fine di evitare possibili abusi.

Le disposizioni di cui sopra riguardano esclusivamente i committenti non agricoli o professionisti.

Le imprese agricole che ricorrono a prestazioni di lavoro accessorio, sono tenute a comunicare esclusivamente i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, il luogo e la durata della prestazione, con riferimento a un arco temporale non superiore a tre giorni.

In caso di violazioni, scatteranno sanzioni amministrative da 400 a 2.400 euro, in relazione a ciascun prestatore per cui è stata omessa o ritardata la preventiva comunicazione, senza la possibilità di applicare la procedura di diffida.

Lavoro a termine e attività stagionali: i chiarimenti del ministero (1^ parte)

clock-651111__340Il Ministero del lavoro, con risposta ad interpello n. 15/2016, ha offerto chiarimenti in merito alla corretta interpretazione delle disposizioni di cui agli artt. 19 ss. D.Lgs 81/2015, concernenti la disciplina del lavoro a tempo determinato.

Il Ministero chiarisce che:

  • il D.Lgs n. 81/2015, art. 21. co. 2 prevede che il regime degli intervalli non trova applicazione nei confronti dei lavoratori impiegati nelle attività stagionali individuate con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nonché nelle ipotesi individuate dai contratti collettivi, salva l’applicazione delle disposizioni del DPR n. 1525/63 nelle more dell’adozione del decreto ministeriale.  Tale disposizione viene, inoltre richiamata all’art. 19, co. 2 e 23, co. 2, al fine di individuare le ipotesi per le quali non operano rispettivamente il limite massimo dei 36 mesi nonché i limiti quantitativi di ricorso al contratto a termine.  Pertanto l’attuale quadro regolatorio continua a demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di prevedere ulteriori ipotesi, rispetto a quelle già indicate come stagionali dal DPR n. 1525/63 – da individuare a norma dell’emanando decreto ministeriale – per le quali non operano i limiti di cui agli artt. 19 co. 2, 21 co. 2, 23 co. 2.  Il Ministero precisa che in tali ulteriori ipotesi è possibile annoverare, in ragione dell’ampio rinvio contenuto alla contrattazione collettiva, anche le attività già indicate come stagionali nei contratti collettivi stagionali sotto la vigenza del D.Lgs n. 368/01.
  • appare corretto ritenere che i contratti a termine conclusi per lo svolgimento di attività stagionali costituiscano un’eccezione al limite di durata massima (36 mesi)  stabilito ex lege o, in alternativa, dalla contrattazione collettiva.  Ne consegue, quindi, che eventuali periodi di lavoro caratterizzati da stagionalità non concorrono alla determinazione del limite di durata massima di cui al’art. 19, co. 1, che oepra invece per i contratti a termine stipulati per lo svolgimento di attività non aventi carattere stagionale.
  • i limiti percentuali per l’attivazione dei contratti a termine ai sensi dell’art. 2, D.Lgs n. 368/01, si sommano ai limiti percentuali previsti dall’art. 19, co. 1, D.Lgs n. 81/15, che a sua volta disciplina ipotesi aggiuntive rispetto a quelle regolate in via generale dall’art. 23, co. 1 del medesimo decreto.

Omissioni Inps agevolate

images (4)Il datore di lavoro può evitare del tutto l’applicazione della sanzione prevista, purchè proceda, al versamento delle ritenute previdenziali trattenute ai lavoratori e non versate nei termini ordinari, entro tre mesi dalla notifica di contestazione.

Decorsi i tre mesi, il datore di lavoro non può più evitare la sanzione, ma può subirla in misura ridotta, procedendo al pagamento di quanto omesso (più sanzione ridotta) nei successivi 60 giorni.

Questo è quanto previsto nella nota ministeriale prot. 9099 del 3 maggio 2016.

La nota ministeriale detta specifiche indicazioni sulla contestazione dell’illecito per il mancato versamento delle ritenute previdenziali operate dal datore di lavoro sulle paghe dei lavoratori dipendenti e dai committenti sui compensi dei collaboratori iscritti alla gestione separata.

L’illecito, a seguito del D.Lgs 8/2016 (cosiddetta depenalizzazione) è stato riformulato in due fattispecie:

  • illecito di natura penale: se l’omesso versamento riguarda un importo di ritenute superiore a 10 mila euro annui. In tal caso continua ad applicarsi la sanzione della reclusione fino a tre ani e la multa fino a 1.032 euro.
  • illecito di natura amministrativa: se l’omesso versamento riguarda un importo di ritenute fino a 10 mila euro annui. In tal caso si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 10 mila a 50 mila euro (ipotesi depenalizzata)

In entrambe le ipotesi il datore di lavoro non è punibile (né reato né sanzione) ove provveda al versamento delle ritenute entro tre mesi dalla notifica della contestazione della violazione.  In particolare, spiega il ministero, il termine di tre mesi per versare le ritenute omesse, decorre dalla notifica della contestazione o dell’accertamento dell’illecito, perché la norma prefigura un effetto sospensivo dell’efficacia delle sanzioni comminate fino alla scadenza del termine di tre mesi.  Di conseguenza, solo alla scadenza del termine dei tre mesi, ove il datore di lavoro non abbia provveduto al versamento delle ritenute, decorreranno i termini per il pagamento della sanzione amministrativa.

Ai fini dell’applicazione del regime punitivo (penale o amministrativo) è previsto un limite di 10 mila euro di ritenute non versate su un periodo di un anno, considerandosi per tale quello “contributivo”, ossia quello che va dal 16 gennaio al 16 dicembre.

Premi di produttività

PRODUT~1La legge di stabilità per il 2016 ha reso strutturale il regime fiscale agevolato riconosiuto alle somme corrisposte ai lavoratori dipendenti compe premio di produttività.

La detassazione dei premi di produttività era stata introdotta per la prima volta nell’anno 2008, come misura sperimentale, demandando, per ciascun anno la validità e l’individuazione di criteri e limiti all’emanazione di un apposito Decreto.

Con la legge di stabilità 2013 (L. 228/2012) erano state individuate le risorse per il triennio 2013-2015 ma, successivi interventi normativi avevano destinato le risorse per il 2015 ad altri capitoli di spesa, impedendo di fatto l’applicazione dell’agevolazionenello scorso anno.

Ora, con lalegge di stabilità2016, la detassazione delle retribuzioni sulla produttività entra definitivamente a regime, venendo meno anche il carattere sperimentale degli anni precedenti.

I requisiti per beneficiare del premio di produttività per l’anno 2016 sono i seguenti:

  • i premi di risultato di ammontare variabile devono essere corrisposti a fronte di incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione, misurabili e verificabili.
  • potranno accedere all’imposta agevolata anche eventuali utili dell’impresa purchè legati a forme di incremento di produttività.
  • le suddette somme, per il godimento del beneficio, devono essere erogate in esecuzione di contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o contratti collettivi aziandali stupulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali (RSA) ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria (RSU) e rispettando le regole di cui all’art. 51 del D.Lgs. 81/2015.
  • l’aliquota dell’imposta sostitutiva rimane fissata al 10%
  • l’imponibile massimo detassabile è pari ad euro 2.000,00, innalzabile ad euro 2.500,00 per le aziende che coinvolgono pariteticamente i lavoratori nell’organizzazione del lavoro.
  • per poter accedere alla agevolazione, il limite di reddito da lavoro dipendente relativo all’anno 2015 è fissato in euro 50.000,00.

Come per le precedenti edizioni, la nuva disciplina di detassazione dele retribuzioni di produttività è subordinata alla emanazione di apposito decreto interministeriale concertato tra Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali e Ministero dell’Economia e delle Finanze che dovrà:

  • individuare i criteri di misurazione egli incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione
  • stabilire gli strumenti e le modalità di partecipazione all’organizzazione del lavoro
  • prevedere le modalità del monitoraggio dei contratti aziendali e territoriali.

Infine, la legge di stabilità introduce la possibilità per il lavoratore di richiedere che le somme riconosciute a titolo di premio di produttività siano fruite (in tutto o in parte) sotto forma di servizi di “welfare aziendale”, elencati all’art. 51, comma 2 e 3 ultimo periodo del TUIR (ad esempio servizi di trasporto, servizi di educazione e istruzione, servizi di assistenza ai famigliari non autosufficienti ecc.)

Queste somme, nel caso in cui il lavoratore esercitasse l’opzione di sostituzione, non concorreranno, nel rispetto dei 2.000,00 euro annui lirdi, a formare il reddito di lavoro dipendente, nè saranno soggette all’imposta sostitutiva del 10%

 

Depenalizzato l’omesso versamento delle ritenute previdenziali

images (30)Depenalizzato, a norma dell’art.3, comma 6, D.Lgs. 8/2016, il reato di omesso versamento dei contributi previdenziali,  per le somme di importo inferiore a euro 10.000 annui.

In attuazione dell’art. 2, comma 2, lett. c), della legge 67/2014, il D.Lgs 8/2016 rileva ai fini degli omessi versamenti dei contributi previdenziali, corrispondenti alle ritenute operate nelle buste paga dei lavoratori.

La norma puniva con la reclusione fino a tre anni e con una sanzione fino a euro 1.032,00 qualsiasi condotta illecita del datore di lavoro che operasse le ritenute previdenziali previste dalla legge sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti e dei pensionati che lavorano alla sue dipendenze, senza che le stesse venissero poi versate all’INPS.

L’attuale disposizione normativa, al contrario, opera un distinguo legato al valore annuo dell’omissione compiuta dal datore di lavoro, confermando la sanzione penale della reclusione fino a tre anni, oltre alla sanzione amministrativa fino a euro 1.032 per i soli omessi versamenti di importo superiore a 10.000,00 euro annui.

Per gli importi trattenuti ma omessi di misura inferiore ai 10.000 euro annui, al datore di lavoro si applicherà la sola sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 50.000 euro.

In ogni caso il datore di lavoro non è punibile con la sanzione penale nè con quella amministrativa, qualora provveda al versamento di quanto trattenuto entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’accertamento di violazione.

Sia il reato, che l’illecito amministrativo, sussistono soltanto se a seguito di conguaglio tra gli importi contributivi a carico del datore di lavoro e le somme anticipate non risulta un saldo attivo a favore del datore di lavoro e, comunque, a fronte di un effettiva corresponsione della retribuzione ai dipendenti.

 

 

Il lavoro intermittente

lavoro-intermittente-ed-accessorio-differenze_d8cd3aee49c50caf7238ed3963eb72abIl contratto di lavoro intermittente è definito come “il contratto, anche a tempo determinato, mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa in modo discontinuo o intermittente secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi, anche con riferimento alla possibilità di svolgere le prestazioni in periodi predeterminati nell’arco della settimana, mese o dell’anno.  In mancanza di contratto collettivo, i casi di utilizzo del lavoro intermittente sono individuati con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali”.

La disposizione,  contenuta nell’art. nell’art. 13 del D.Lgs 81/2015 è il principale riferimento per l’individuazione del campo applicativo dell’istituto il quale, oggi come ieri può essere stipulato a tempo determinato o indeterminato.  La prestazione può essere considerata discontinua anche laddove sia resa anche per periodi di durata significativa.  Tuttavia detti periodi, per potersi considerare effettivamente “discontinui o intermittenti”, devono essere intervallati da una o più interruzioni, in modo tale che non vi sia una esatta coincidenza tra “la durata del contratto” e la “durata della prestazione”.

Il Legislatore rimette anzitutto alla contrattazione collettiva l’individuazione delle esigenze in forza delle quali poter ricorrere al lavoro intermittente.  A tal proposito va precisato che, in ragione di quanto previsto dall’art. 54 del D.Lgs 81/2015, quando ci si riferisce alla contrattazione collettiva si intendono i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria.

Ipotesi soggettive nelle quali è possibile stipulare contratti di lavoro a chiamata.  E’ sempre possibile accedere al lavoro intermittente, per lo svolgimento di qualsiasi tipo di attività, da parte di soggetti con più di 55 anni di età e soggetticon meno di 24 anni di età, fermo restando in tale caso che le prestazioni contrattuali devono essere svolte entro i 25 anni.

Limiti al ricorso al lavoro intermittente.  Tali limiti sono:

  •  per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero
  • presso unitò produttive nelle quali si sia proceduto, entro i 6 mesi precedenti, a licenziamenti collettivi che interessino lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto a chiamata ovvero presso unità produttive nelle quali è operante una sospensione del lavoro o una riduzione dell’orario, in regime di cassa integrazione, che interessino lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente
  • ai datori di lavoro che non hanno effettuato la valutazione dei rischi secondo la legge.

Ulteriori limiti sono di carattere quantitativo.  Il legislatore stabilisce in particolare che, fermi restando i presupposti di instaurazione del rapporto e con l’eccezione dei settori del turismo, dei pubblici esercizi  e dello spettacolo, il contratto di lavoro intermittente è ammesso, per ciascun lavoratore con il medesimo datore di lavoro, per un periodo complessivamente non superiore alle 400 giornate di effettivo lavoro nell’arco di 3 anni solari.  In caso di superamento del periodo, il relativo rapporto si trasforma in un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato.

Secondo il Ministero del lavoro, le “regolamentazioni vigenti” non possono che riferirsi al D.M. 23.10.2004, applicabile già in forza della disciplina sul lavoro intermittente contenuta nel D.Lgs 276/2003.

Il D.M. stabilisce che, “è ammessa la stipulazione di contratti di lavoro intermittente con riferimento alle tipologie di attività indicate nella tabella llegata al Regio Decreto 6.12.1923 n. 2657”.  Di conseguenza, in assenza di contrattazione collettiva è evidentemente possibile rifarsi ancora oggi alle ipotesi del R.D. 2657/1923 al fine di attivare prestazione di lavoro intermittente.

 

Ticket licenziamento: le eccezioni si riducono.

licenziamento1Il ticket licenziamento dall’anno 2016 si aggiorna, inserendo nuove casistiche per le quali è dovuto il versamento.

Scaduto il periodo di esenzione, dal 1° gennaio 2016 è dovuto dalle imprese anche nei casi di cambio appalto e di licenziamento per fine lavori.

Il prpssimo 31 dicembre, inoltre, scadrà l’ulteriore periodo di esenzione previsto per le aziende tenute al pagamento del contributo d’ingresso alle procedure di mobilità previste dall’art. 5, comma 4 della legge 223/91.

Il ticket, nato per finanziare l’indennità di disoccupazione Aspi e mini-Aspi, è stato confermato dalla riforma del jobs act l’anno scorso, per finanziare la Naspi (che ha sostituito Aspi e mini-Aspi dal 1° maggio 2015).

Operativo dai licenziamenti intervenuti a partire dal 1° gennaio 2013, il ticket è una sorta di “tassa” introdotta dalla riforma Fornero (legge 92/2012) per finanziare gli ammortizzatori e in particolare le indennità di disoccupazione.

Il ticket è dovuto nei seguenti casi di licenziamento:

  • licenziamento di lavoratori, compresi gli apprendisti, per giustificato motivo oggettivo, per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa;
  • recesso del datore di lavoro al termine del periodo formativo di apprendistato;
  • dimissioni del lavoratore per giusta causa;
  • dimissioni durante il periodo tutelato di maternità (300 giorni prima della datapresunta del parto, fino al compimento del 1° anno di vita del bambino);
  • risoluzione consensuale con procedura di conciliazione (nuovo rito fornero);
  • risoluzione consensuale per trasferimento del dipendente ad altra sede dell’azienda, a distanza oltre i 50 km. dalla residenza del lavoratore e/o raggiungibile con oltre 80 minuti mediante i mezzi pubblici;
  • licenziamento collettivo senza accordo sindacale;
  • mancato superamento del periodo di prova (con recesso da parte del datore di lavoro);
  • licenziamento del lavoratore assunto con contratto di lavoro intermittente;
  • licenziamento per completamento attività e chiusura del cantiere in edilizia;
  • licenziamento per cambio appalto, con garanzia di continuità occupazionale.

Casi in cui il ticket licenziamento non è dovuto:

  • licenziamento del lavoratore domestico;
  • dimissioni volontarie del lavoratore;
  • risoluzione consensuale;
  • licenziamento collettivo nelle procedure di mobilità (fino al 31.12.2016)

Come si calcola il ticket:

ticket annuo = (0,41 * 1.195,00 euro) = euro 489,95

ticket annuo/12 = (euro 489,95/12) = euro 40,83

ticket annuo * 3 = (euro 489,95 * 3) = euro 1.469,85

Sanzioni contributive.  Stante la sua valenza contributiva, il versamento del ticket soggiace all’ordinaria disciplina sanzionatoria prevista in materia di contribuzione previdenziale obbligatoria a carico del datore di lavoro.

 

 

 

 

Dimissioni e risoluzioni consensuali: emanato il decreto.

 

 

safe_image4Per contrastare il fenomeno delle c.d. “dimissioni in bianco” l’art. 24 del D.Lgs 151/2015 – sulle orme di quanto già disposto dall’art. 4, co.19 della L. n. 92/2012 – ha ridisegnato le modalità per la cessazione del rapporto di lavoro derivante da dimissioni volontarie e risoluzione consensuale.

L’11 gennaio è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 7 il Decreto Ministeriale Lavoro 15 dicembre 2015, recante le “modalità di comunicazione delle dimissioni e della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro“, attuando di conseguenza quanto contenuto nell’art. 26 del D.Lgs n. 151/2015. Il testo del D.M. composto da 4 articoli e 2 allegati definisce i dati contenuti nel modulo per le dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, nonchè la loro revoca, gli standard e le regole tecniche per la compilazione del modulo e per la sua trasmissione al datore di lavoro e alla Direzione territoriale del lavoro competente.

Per effetto dell’art. 26, co.8 del D.Lgs n. 151/2015, che sancisce l’entrata in vigore di nuove norme “a far data dal sessantesimo giorno sucessivo dalla data di entrata in vigore del decreto” la nuova procedura sarà operativa dal 12 marzo 2015.

Il modulo, disponibile sul sito del Ministero del Lavoro (www.lavoro.gov.it) consente tre opzioni: dimissioni, risoluzione consensuale e revoca. L’ultima scelta consente di revocare la comunicazione (di dimissioni o risoluzione consensuale) precedentemente inviata, nel termine di sette giorni dalla data di trasmissione come stabilito dall’art. 26, co.2 del D.Lgs n. 151/2015.

Sono escluse dalla comunicazione telematica:

  •  le dimissioni e risoluzioni consensuali derivanti da rapporto di lavoro domestico
  •  le conciliazioni o procedimenti di risoluzione del rapporto di lavor2o presso le commissioni di certificazione

a norma dell’art. 55, co.4 del D.Lgs n. 151/2001, restano esclusi dal nuovo meccanismo di dimissioni volontarie e risoluzioni consensuali:

  • il periodo di gravidanza
  • i primi tre anni di vita del bambino ovvero i primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento
  • in caso di adozione internazionale, i cprimi tre anni decorrenti dalle comunicazioni di cui all’articolo 54, comma 9 del D.Lgs n. 151/2001

In tali casi, infatti, la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro o la richiesta di dimissioni devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali competenti per territorio.

Per effettuare la comunicazione (quale che sia la scelta: dimissioni, risoluzione consensuale o revoca), il lavoratore può scegliere tra due diverse modalità operative:

  • procedere in autonomia previa attivazione di un’utenza sul portale “Cliclavoro” del Ministero del lavoro
  • rivolgersi a un soggetto abilitato (patronati, sindacati, enti bilaterali e commissioni di certificazione).

A norma dell’art. 26, co.5 l’alterazione dei moduli ricevuti, eccezion fatta nei casi in cui si manifesti reato, è punito con una sanzione amministrativa da 5.000 a 30.000 euro irrogata dalla Direzione Territoriale del lavoro nel caso di accertamento dell’infrazione.