COLLABORATORI DOMESTICI – la disciplina

166166082_fdb19c3000_oLa definizione civilistica di collaboratore domestico è regolata dalle disposizioni del codice civile, dall’art. 2240 all’art. 2249 e, se più favorevoli al prestatore di lavoro, dalla convenzione e dagli usi.

In aiuto viene poi la legge 2 aprile 1958 n. 339 ancora in vigore, la quale, all’art. 1° precisa che s debbono intendere per addetti ai servizi personali domestici, i lavoratori di ambo i sessi che prestano a qualsiasi titolo la loro opera per il funzionamento della vita familiare, sia che si tratti di personale con qualifica specifica, sia che si tratti di personale adibito a mansioni generiche.

Rientrano quindi nella definizione di domestico, o più modernamente definito, di collaboratore familiare, tutti quei lavoratori che svolgono le loro mansioni alle dipendenze del datore di lavoro esclusivamente per il funzionamento della vita familiare nel suo complesso o per i bisogni personali di uno o più componenti del nucleo.

Tale disciplina è estendibile anche al caso di addetti alle comunità religiose, sociali o militari di tipo familiare, comunque prive di fini di lucro, politico, culturale, sportivo o di svago.  Per esclusione quindi è bene avere presente che se la prestazione lavorativa viene rivolta verso finalità diverse dal funzionamento familiare, ad esempio per servizi di pulizie nei locali di una azienda o dello studio professionale, o anche presso circoli, la stessa dovrà rientrare nell’ambito del lavoro dipendente non domestico.

In tal senso pertanto, quando la prestazione viene promiscuamente resa sia presso casa o presso la famiglia del datore di lavoro e contestualmente presso lo studio o l’azienda, dello stesso, si dovrà procedere con l’instaurazione di due distinti rapporti di lavoro.

Al collaboratore familiare, in quanto lavoratore subordinato, viene riconosciuta una retribuzione in denaro o in natura, ed il versamento copertura contributiva ed assicurativa; nel caso in cui però, tra il datore di lavoro ed il lavoratore sussista un vincolo di parentela, affinità o convivenza more uxorio, la prestazione lavorativa si presume resa gratuitamente, salvo che il datore di lavoro non sia in grado di dimostrare l’esistenza dei requisiti tipici della subordinazione.

Al di fuori dei vincoli coniugali, di parentela o di affinità, eventuali legami affettivi tra datore di lavoro e lavoratore, non possono essere presi in considerazione per adire al principio di presunzione di gratuitò della prestazione lavorativa tra le parti.

Ai fini fiscali nessun obbligo è previsto in capo al datore di lavoro domestico, in quanto si tratta di soggetto non sostituto d’imposta;  il datore di lavoro trattiene dalla retribuzione del collaboratore familiare unicamente la quota di contribuzione a carico del lavoratore e procede al versamento trimestrale insieme alla quota di propria pertinenza.  E’ però tenuto a rilasciare annualmente al collaboratore familiare una dichiarazione a titolo di certificazione delle retribuzioni pagate in corso d’anno, con specifica anche degli importi trattenuti a titolo di contribuzione per l’assicurazione generale obbligatoria e le eventuali somme pagate a titolo di trattamento di fine rapporto o anticipazioni dello stesso.  La certificazione delle retribuzioni così predisposta dovrà essere utilizzata dal collaboratore familiare per procedere alla propria dichiarazione dei redditi.

Per l’instaurazione del rapporto di lavoro domestico si procede alla compilazione di un format per il tramite della piattaforma telematica dell’INPS, sul quale si riporteranno, oltre ai dati identificativi delle parti, anche il tipo di rapporto (domestico o badante), l’orario di lavoro osservato, con precisazione se la prestazione deve intendersi a tempo determinato o indeterminato e se vige vincolo di convivenza.    In funzione dei dati forniti, l’Istituto provvede ad emettere i bollettini per il pagamento trimestrale della contribuzione dovuta.

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