Il contratto di lavoro intermittente è definito come “il contratto, anche a tempo determinato, mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa in modo discontinuo o intermittente secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi, anche con riferimento alla possibilità di svolgere le prestazioni in periodi predeterminati nell’arco della settimana, mese o dell’anno. In mancanza di contratto collettivo, i casi di utilizzo del lavoro intermittente sono individuati con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali”.
La disposizione, contenuta nell’art. nell’art. 13 del D.Lgs 81/2015 è il principale riferimento per l’individuazione del campo applicativo dell’istituto il quale, oggi come ieri può essere stipulato a tempo determinato o indeterminato. La prestazione può essere considerata discontinua anche laddove sia resa anche per periodi di durata significativa. Tuttavia detti periodi, per potersi considerare effettivamente “discontinui o intermittenti”, devono essere intervallati da una o più interruzioni, in modo tale che non vi sia una esatta coincidenza tra “la durata del contratto” e la “durata della prestazione”.
Il Legislatore rimette anzitutto alla contrattazione collettiva l’individuazione delle esigenze in forza delle quali poter ricorrere al lavoro intermittente. A tal proposito va precisato che, in ragione di quanto previsto dall’art. 54 del D.Lgs 81/2015, quando ci si riferisce alla contrattazione collettiva si intendono i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria.
Ipotesi soggettive nelle quali è possibile stipulare contratti di lavoro a chiamata. E’ sempre possibile accedere al lavoro intermittente, per lo svolgimento di qualsiasi tipo di attività, da parte di soggetti con più di 55 anni di età e soggetticon meno di 24 anni di età, fermo restando in tale caso che le prestazioni contrattuali devono essere svolte entro i 25 anni.
Limiti al ricorso al lavoro intermittente. Tali limiti sono:
- per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero
- presso unitò produttive nelle quali si sia proceduto, entro i 6 mesi precedenti, a licenziamenti collettivi che interessino lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto a chiamata ovvero presso unità produttive nelle quali è operante una sospensione del lavoro o una riduzione dell’orario, in regime di cassa integrazione, che interessino lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente
- ai datori di lavoro che non hanno effettuato la valutazione dei rischi secondo la legge.
Ulteriori limiti sono di carattere quantitativo. Il legislatore stabilisce in particolare che, fermi restando i presupposti di instaurazione del rapporto e con l’eccezione dei settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo, il contratto di lavoro intermittente è ammesso, per ciascun lavoratore con il medesimo datore di lavoro, per un periodo complessivamente non superiore alle 400 giornate di effettivo lavoro nell’arco di 3 anni solari. In caso di superamento del periodo, il relativo rapporto si trasforma in un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato.
Secondo il Ministero del lavoro, le “regolamentazioni vigenti” non possono che riferirsi al D.M. 23.10.2004, applicabile già in forza della disciplina sul lavoro intermittente contenuta nel D.Lgs 276/2003.
Il D.M. stabilisce che, “è ammessa la stipulazione di contratti di lavoro intermittente con riferimento alle tipologie di attività indicate nella tabella llegata al Regio Decreto 6.12.1923 n. 2657”. Di conseguenza, in assenza di contrattazione collettiva è evidentemente possibile rifarsi ancora oggi alle ipotesi del R.D. 2657/1923 al fine di attivare prestazione di lavoro intermittente.
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